01 agosto 2006

A 100 anni dalla nascita di Oma...





100 anni fa a Napoli nasceva mia nonna Oma... l’ultima di queste foto ce la mostra con i suoi 3 figli maggiori, gli altri due non erano ancora nati... suppongo che possa essere stata scattata nel 1940 o 1941 (a meno che non fosse un poco dopo e la 4ª figlia semplicemente non appaia nella foto!) ...

Ho cercato notizie riferenti a 100 anni fa ma per la data esatta non ho trovato niente purtroppo, mentre per agosto del 1906 o per l’anno 1906 qualcosa (poco) c’è. Il più divertente è che ci sono notizie (in pubblicazioni italiane) di un terremoto in Cile, a Valparaiso, il 16 di agosto! Ci fú pure un’eruzione del Vesuvio a partire del 4 aprile. E un terremoto a San Francisco il 18 aprile

A seguito ho alcuni link a notizie relative al 1906.

Varie notizie italiane in http://www.cronologia.it/storia/a1906.htm

Dalla Gazzetta del Mezzogiorno del 1906, http://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/GdM_finestra_storia_1906.asp?IDCategoria=518

Il Traforo del Sempione, dal Giornale del 1906:
http://www.ilgiornale.it/a.pic1?ID=92166

Varie notizie del mondo (in Francese) nel 1906 in http://fr.wikipedia.org/wiki/1906
Nella versione italiana c’è molto meno... http://it.wikipedia.org/wiki/1906
C’è anche una versione in Inglese http://en.wikipedia.org/wiki/1906, una in Spagnolo http://es.wikipedia.org/wiki/1906 e in varie altre lingue, ma la più completa resta quella in Francese.

Terremoto a San Francisco: http://quake.usgs.gov/info/1906/

Alcuni personaggi famosi nati nel 1906: http://biografie.leonardo.it/risultati.htm?y=1906


Ed ora aggiungo le note che mio zio Manfredo (a destra nella foto con madre e fratelli) mi ha simpaticamente inviato:

Primo: nel Novembre 1906 l'Accademia Svedese conferi il Premio Nobel per la Letteratura a Giosuè Carducci (nato, guarda caso, in Versilia, non lontano dal Forte dei Marmi che tanto piacque ad Oma ed influenzo' la vita della nostra generazione – penso soprattutto a Flaviana e Sandro).
Secondo: i Colonna di Stigliano, che io sappia, a Napoli, gravitavano tra Mergellina e Chiaja. Napoli era a quell'epoca, con 5-600.000 abitanti, la città più popolata d'Italia. Nel 1906 penso non esistesse ancora a Napoli la Stazione Ferroviaria di Mergellina; in compenso c'era già la ferrovia Cumana (elettrificata?), con fermata alla stazione "Quattro Stagioni" sopra Piedigrotta. La quale Piedigrotta si animava in modo straordinario la notte della Vergine, il 7 settembre. Notte di canti e di baldoria, notte di carri pittoreschi e canori,
notte pantagruelica.
Terzo: immaginiamoci quella giornata del 1° Agosto del 1906.
La mattina risuona il fischietto del caffettiere girovago:"O cafettiéééé…"; il richiamo del venditore di focacce (la mitica pizza al pomodoro): "C''o fungetielli e' alice"; la voce del limonaro:"Agre e roce"; quella del venditore di sorbetti: "A grotta d''a neve" o quella del pescivendolo: "Tengo 'argento 'int''a spasella".
Il pomeriggio (magari all'ora della siesta, con gran scorno del Padre di Oma, Tuo Bisnonno Egidio, nordico di Verona), si sente il grido del venditore di nocciole e semi di zucca: "Semmente e nnucelle mmunnate!" o la voce del venditore di pomodori: "Se' moè! E quanno t'' a faie 'a cunsévera?!".
La sera è la volta del venditore di cocomeri (poponi): "Ma chiste so' nire overo! O 'anema d''o fuoco!"; e del lumacaro: "Cunfiette ricce e palle'e Salimone! Magnateve cheste! E siente 'addore, sié!".



Il seguente testo invece l'ha scritto mio papà Claudio:

Quest'anno il primo agosto è stato speciale, perché, prima con Flaviana, poi con Selvaggia, ci siamo immedesimati nel fatto che cento anni fa era nata a Napoli, in Mergellina, la nostra indimenticabile mamma (mammà) e nonna (Oma) per i nipoti: Bianca. Cento anni sono molti, racchiudono tante storie, più generazioni, i ricordi propri e quelli tramandati. Il primo agosto poi non lo dimentico mai: è anche il compleanno di Valentina (1970) figlia di Paolo e di Simona;il due è il compleanno di Manfredo (Dodò), il quattordici il mio.....Un mese pieno e denso, o, come amo pensare, il mese assoluto dell'anno, quello atteso e sognato per tutto l'uggioso inverno, promesso dalla primavera. Più mesta è la ricorrenza del trenta maggio, quando ormai quindici anni fa nostra madre se ne è volata in cielo; e vi ha ritrovato papà, Opa Egidio e Oma Welly, i nonni italiani e quelli olandesi; la nonnina, come la chiamava, quella Teresa Barbieri che aveva sposato il nonno paterno Carlo Colonna, sopravvivendogli poi a lungo. Quando da bambini passavamo lunghissime vacanze estive -e oltre- a villa Gallotti, in Posillipo, mammà ci faceva sentire tutto l'orgoglio che provava per la sua città, per il popolino vivace e rumoroso, per i bassi affollati delle viuzze nel quartiere spagnolo, le paste di Caflish, le scarpe per bambini che solo a Napoli erano quelle giuste, i taralli pepati, le sue amiche di sempre: Silvia Coop, Bianca Fontana, Emmuccia Berlingieri, Ada e Maria Peirce, la sfortunata Solange che poi si innamorò al punto da morirne tragicamente; e tutta la teoria dei vari Caracciolo, Pignatelli, gli innumerevoli parenti Colonna, le tante zie, gli amatissimi cugini Landolfo (Fufù), Anna (Lellè), Maria Vittoria (Trottola) e Pickì il cui vero nome non ricordo fosse stato mai pronunciato: si, perchè ogni persona deve avere un nome anagrafico, è la legge, ma soprattutto un nome corrente, possibilmente breve e tronco: Bianca si è sempre chiamata Bebé, sua sorella Maria Teresa, Mité. Così Napoli è sempre rimasta al centro dei sogni e del mondo di mammà: lei ci faceva capire subito se parlava al telefono con un'amica napoletana dall'inconfondibile accento che le riemergeva. Napoli poi nei suoi pensieri era una vera capitale europea, altro che... e la frase rimaneva tronca per rispetto alla città adottata; una capitale cosmopolita, prediletta da inglesi e francesi, all'avanguardia in tutto: dallo storico Ospedale degli Incurabili, la prima istituzione del genere in Europa (beh, diciamo in Italia), la linea metropolitana che allora si chiamava semplicemente Circumvesuviana, con partenza da Mergellina, a Piedigrotta: anch'essa una novità assoluta; la pasticceria svizzera di Caflish famosa anche per la cioccolata in pezzi spugnosi e rugosi, come una scorza d'albero e che chiaramente non si sarebbero trovati in alcun'altra città. Ma a Napoli c'erano anche altri vantaggi: l'esercente di qualsiasi negozio e bottega, vedendola entrare, si sarebbe precipitato a servire una vera signora, trascurando nel mormorio generale tutte le altre avventrici. E che dire delle funicolari, dalla Floridiana al centro, per non citare quella celeberrima del Vesuvio, funiculì, funiculà. Ma più affascinante di ogni altra realtà, a Napoli è il paesaggio, i dintorni, e lo spettacolo che essi offrono: indimenticabili le gite alle fumarole degli Astroni, le vendemmie a Soccavo, con inevitabili mal di pancia, la lava nerissima a Torre del Greco, i pellegrini alla Madonna di Pompei - anzi di Bombei, come si chiama a Napoli forse compiaciuti di disorientare i non iniziati - i bagni a Sorrento, il blù di Capri e poi giù giù fino alle vertigini di Furore: meno amata sull'altro versante, troppo affollata Ischia, passi per Procida, anche per i castelli dove aveva risieduto Vittoria Colonna "marchesana" di Pescara d'Avalos; poco apprezzata Pozzuoli, buone le spiagge di Trentaremi e Siniscola. I Capresi invece, che al pari dei Napoletani sentono di essere nella vera capitale del golfo, si identificano ancor'oggi con una sopravvivente Magnagrecia: molti anni fa, giungendovi da Roma, ed avendo appreso con rammarico in viaggio di un improvviso sciopero dei benzinai che avrebbe vanificato la programmata circumnavigazione in gommone, al nostro stupore per aver trovato il distributore aperto allo sbarco della funicolare, con condiscendenza l'esercente spiegò: "ma no, signurì, chillo lo sciopero è in Italia". Tutto ciò per mammà era scontato; stentava invece a ritrovarsi a Roma, dove tutto si faceva per dovere, tutto era scontato ed ovvio, il tram seguiva il suo binario; non invece a Napoli, dove nel fortunoso quarantaquattro, doveva essere di settembre, potei fare un appagante bagno di mare a Bagnoli, sulla spiaggia dove poi sarebbe sorto il torvo stabilimento siderurgico, in mutande, col tranviere che dal Vomero alto aveva proposto il diversivo a me ed all'unico altro passeggero, azionando poi con decisione lo scambio manuale.

A Roma però, ad onor del vero, mammà apprezzava altre cose, ad esempio i tesori medievali di Trastevere, il quartiere ai cui margini abitavamo, vicinissimi al ponte Sisto. A Santa Cecilia, una volta l'anno, nella ricorrenza della Beata Margherita Colonna fondatrice di certe Suore che fin da allora ebbero in custodia il convento di quella Basilica, i discendenti della sua famiglia avevano il diritto, infrangendo una piccola porzione di clausura, di visitare gli affreschi del Cavallini, contemporaneo della Beata. Oggi si paga invece un biglietto ed in qualsiasi giorno si può salire nel coro in ascensore scortati da un bambino pachistano. Chi sarà stato quel benedetto Cardinale Acquaviva (napoletano!?) che nel frenetico ammodernamento barocco ha costruito quel coro nella controfacciata, dotato di tanto di organo, tagliando in due il Cristo in trionfo, contornato da grandiosi santi ed angeli alati? E la nostra parrocchia, Santa Maria in Trastevere, con il bel mosaico nell'abside - di nuovo Cavallini - la fons olei, il pavimento sontuoso cosmatesco: la parrocchia dove abbiamo dato l'ultimo saluto a papà e ventitrè anni dopo a mammà. I ricordi, si sa, sono intrisi di malinconie, non se ne può fare a meno ma mammà non era un tipo malinconico, anzi; era allegra, piena di iniziative, attivissima; manteneva inoltre rapporti con tutti, anche attraverso una fitta corrispondenza con quanti, amici e parenti, erano lontani; riceveva volentieri visite e le ricambiava con piacere. Si sobbarcava anche alle riunioni di dovere, dalle zie acquisite a quelle naturali: fra queste ultime, la zia Matilde: un personaggio da belle époque, che, da quando in età più che matura aveva sposato lo zio Fabio Colonna, il primogenito, si faceva chiamare eccellenza dalla servitù ed aveva completamente dimenticato il proprio cognome ebraico di nascita, Morpurgo; ricordava invece di essere stata estremamente ricca e forse lo era ancora dopo la guerra; non potevamo dimenticare che in quei tragici frangenti la zia si trovava nella propria villa di Brugnera, in Veneto, requisita per la maggior parte da un comando tedesco: quando quei militari avevano la "impudenza" di fucilare sul piazzale della villa quanti malcapitati ebrei erano riusciti ad acciuffare, "un po' più in là, per favore" li invitava! Questa nostra prozia parlava correntemente tutte le lingue, ma usava nei rapporti con i parenti e gli amici solo il francese, per farsi capire meglio, diceva; quando era verso i novant'anni, ci raccontò che da giovane, a Trieste dove aveva sempre vissuto con la sua famiglia di banchieri, giunse una volta un facoltoso principe russo, col proprio treno, direttamente in stazione, dove parcheggiò, e di dove andava al mare, con tutta la servitù: i signori entravano in mare non visti, dalle cabine su palafitte, la servitù, ovviamente gente senza importanza (c'era ancora la schiavitù?), tutti nudi sulla spiaggia. La zia Matilde morì vecchissima quando io avevo trent'anni e mi lasciò, in suo ricordo, quanto sufficiente perchè mi comprassi da un amico il mio primo paio di ski in legno hickory, senza gli attacchi, beninteso: e gliene sono ancora grato.

Oltre le corrispondenze, le visite, le telefonate, erano molteplici gli interessi di mammà: anzitutto i suoi figli, il marito; per tutti tagliava, cuciva, lavorava a maglia; a noi, da piccoli, insegnò a leggere e scrivere, virtù quest’ultima nella quale lei stessa si cimentava volentieri, lasciandoci così memorie di viaggi, di soggiorni, pensieri, notazioni.
Durante la seconda guerra mondiale, con papà richiamato sotto le armi e sempre minacciato di trasferimento al fronte, faceva di tutto, organizzava in qualche modo la spesa anche laddove non si trovava quasi nulla, dirigeva fantomatiche freulein e mademoiselles affinché ci insegnassero qualche lingua, sovraintendeva all’andamento della casa , della nostra scuola e dei relativi compiti per evitarci i ben più duri sistemi seguiti in proposito dal nostro severissimo genitore: arrivò perfino a regalarci, alla fine del ‘quarantadue una sorellina, Maria Immacolata, poi ribattezzata Minette dalla suora francese che l’assisté nel parto (in casa, come si usava allora), noi tre fratelli maggiori smistati presso parenti ed amici; per Minette riuscì ad ottenere da un guardiano dell’Orto Botanico, ogni giorno, verdure e legumi per il brodino vegetale; ed altrettanto giornalmente un buon litro di latte dagli amici del Gallo, ritirabile (in bicicletta) presso il loro palazzo al Foro Traiano: qui infatti convergeva il prodotto delle mucche già ivi stivate nel cortile, poi portate discretamente a pascolare, come noi ragazzi, all’Orto Botanico grazie ai suoi buoni uffici mediati dal Direttore conosciuto in passato.
Con l’aiuto degli americani, anzi dell’esercito liberatore, e con papà senza prospettive immediate per il suo lavoro di ingegnere-architetto e con quattro figli particolarmente voraci, si lanciò come supervisor di un gruppo di ragazze che facevano servizi di mensa, snack e rinfreschi per un circolo di ufficiali USA sistemato nel palazzo delle esposizioni e per l’estate, nello stadio Flaminio. Noi ragazzi potevamo ricevere ricchi ed enormi gelati di crema raccogliendo con secchi i bicchieri usati, dagli spalti: una pacchia ed una vera risorsa; tra le ragazze ricordo Marisa, forse diciottenne, ma non Flaviana, allora solo di quindici anni.
Il quinto figlio, Paolo, arrivò nel cinquanta, sul finire dell’estate, quando ormai nessuno se lo aspettava, papà aveva cinquantasei anni, mammà dodici di meno. In quell’occasione noi due maschi maggiori fummo spediti in casa dei nonni a Napoli, in piazza Sannazzaro, nonni provvidenzialmente altrove per un loro viaggio: disponevamo dei soldi contati per quindici giorni di stretta sopravvivenza, più il biglietto di ritorno in treno in terza classe. Quando giunse il telegramma da Roma che ci annunciava la nascita di un fratellino nuovo, nessuno era però più a Napoli: ce l’eravamo svignata a Capri, cavandocela benissimo, mangiando pane e pomodori, dormendo in porto sulle panchine del traghetto di Napoli, almeno fino all’ora in cui venivamo svegliati bruscamente dagli addetti alle pulizie; passammo una vacanza formidabile, piena di sole, di bagni, di amicizie; di quel periodo mi rimane un simpatico ritratto a carboncino fattomi da una ragazzona olandese amica di un giovanotto messicano. Di Paolo apprendemmo transitando per Napoli prima di imbarcarci nel treno per Roma.
Uno dei regali più belli che ci ha lasciato mammà è la serenità, la certezza che se una cosa va “storta”, ne seguirà immancabilmente una migliore dopo, “quando meno uno se l’aspetta”. E l’amore per la musica classica: questa è stata per lei un alimento, qualcosa di irrinunciabile, quando poteva, zia Gianna Bizzarri ci dava dei biglietti per i concerti all’Argentina diretti da Victor de Sabata, ma poi c’era la Musica Antiqua recuperata e diretta dal cugino Luigi Colonna, direttore d’orchestra poco fortunato, ma che non mancava mai di farci avere dei biglietti omaggio. Poi è cominciata la stagione degli abbonamenti alla Filarmonica e d’estate alla Basilica di Massenzio; Flaviana ha sempre seguito questo filone, io stesso ero invece più attratto dalla lirica, forse perché iniziatovi dal nonno napoletano, Opa, che in gioventù pare sfoderasse una bella voce tenorile negli incontri conviviali fra amici, nei matrimoni di famiglia, in qualche evento mondano. Andavo le sere d’estate al Parco Pepoli, da dove era possibile seguire gli spettacoli di Caracalla senza bisogno di biglietto, seduti stipati sul muretto di cinta fra altri giovani melomani e gente semplice di quel quartiere.
I bei viaggi che Manfredo ha potuto offrire a nostra madre durante le sue residenze a Caracas ed a Delhi, quando lei aveva ormai un’età avanzata, furono occasione per lei dapprima di grande curiosità, poi di gioia, infine di continuo riferimento a Napoli, ritrovata in qualche isola tropicale del Venezuela, negli olezzanti e variopinti mercati dei villaggi indiani.
Una sola categoria di persone amava poco, anzi niente: i medici. Cercò sempre di evitarli, curando da sé i suoi scapestrati figli a suon di tazze di the per ogni mal di testa, starnuto, raffreddore vero o temuto; ma anche somministrato a titolo preventivo, prima di ogni viaggio, ma poi dinuovo all’arrivo, e spesso anche il giorno dopo.
Nei casi più gravi tutti sicuramente dovuti alle malefatte dei ragazzi, si ricorreva a Napoli dall’intramontabile dott.
Staglianò, a Roma Mario Carega, cognato di zia Maria Luisa Colonna, finchè ha vissuto, poi il dott. Lodoli, perennemente rassegnato al peggio. Quando in tarda età lei si ruppe un femore, non volle farsi “mettere le mani addosso” da nessuno, preferì restare nel letto di una clinica per cinque mesi finché l’osso provvide da solo a saldarsi.
Provvide sempre a tutti: quando Opa e Oma (la nostra cara Oma Welly olandese) erano già avanti con l’età ,li fece
Trasferire a Roma per averli vicino e poterli seguire; per questo Opa, morto nel cinquantasette mentre ero al servizio militare in Puglia, ma che già quarant’anni prima aveva stabilito di non poter più lavorare a causa di un vizio al cuore, è sepolto al Verano, nel deposito dei Colonna di Stigliano; Oma Welly riposa invece affianco a mamma mia al Flaminio, in un sepolcro più modesto, come si conviene a due donne di grande valore.
Non voglio rileggere queste righe per non dover verificare se ho espresso un mio ricordo di mammà oppure di Napoli: ma infondo, non c’è vera contraddizione.

A questo punto anch'io voglio scrivere un po' di ricordi...

come riunirsi da Oma i mercoledí pomeriggio con un po' di cugini, Toia con le sue lunghe trecce rosse che sempre gliele tiravamo (e che appena ha avuto la possibilità di decidere le ha tagliate), Lello che è il più vicino a me, che mi chiamava "cicciona" e io gli dicevo "nano", a volte sua sorella piccola Fiamma e la sua inseparabile Valentina, di un anno di più.

Con Oma non si festeggiava il Natale, quello era specifico di ogni nucleo familiare, mentre con lei e i cugini e gli zii si festeggiava sempre la Befana, dopo aver fatto noi nipoti il Presepio.

Oma non era la tipica nonna che sbavava dietro ai nipotini, tutt'altro, aveva il suo buon carattere! ma era molto simpatica e in gamba. Noi facevamo marachelle e lei si divertiva direi... quella che mi ricorderò sempre l'abbiamo fatta con Lello: in cucina aveva una scala di legno che saliva verso una soffitta e sui cui gradini lasciava le scarpe. In quell'occasione stavamo mangiando una fetta di pane con la marmellata, (spesso da lei era l'amatissimo pane burro e alici) e non so a chi di noi due cugini, probabilmente a me, cadde il pane in una scarpa... non sapendo cosa fare, e per paura a un castigo, abbiamo fatto finta di niente! e giorni dopo lei ci raccontò (senza rimprovero, non so neanche se pensasse che fossimo stati noi) che passeggiando per la città dovette togliersi la scarpa a una fontanella, perché sentiva qualcosa di appiccicoso, e ci trovó della marmellata! e noi a fare gli gnorri....

Altro ricordo ben marcato, ma molto più tragico, fú quando cadde in casa e si ruppe il femore, c'eravamo solo Lello ed io... non provammo ad alzarla, non mi ricordo cosa facemmo, probabilmente seguimmo le sue istruzioni e chiamammo i nostri genitori. Lí si che ci spaventammo!

Spesso da Oma c'era una delle sue vecchie amiche di sempre, allora ci si metteva in salotto a fare i bambini per bene e a chiacchierare con loro... mi ricordo che una di loro ebbe una tragica fine nell'aereo che cadde a Punta Raisi... ne era veramente consternata.

E poi c'erano le estati da noi a Porto Santo Stefano, che lei amava moltissimo, spesso anche con l'altra mia nonna Lita (con cui non ci fu mai un'enorme amicizia), ai tempi in cui non c'era la strada per arrivare a casa e si doveva scendere per il sentierino, ma lei sempre felice, finché poteva, di venire. E scendeva pure al mare a fare il bagno! cosa che molta gente più giovane non faceva e non fa, per paura agli scogli. Poi gli ultimi anni non veniva perché era troppo dura la discesa, forse anche dopo la rottura del femore, non so. E papà fece finalmente costruire una strada per raggiungere la casa dalla Panoramica, cosí venne di nuovo. Non mi ricordo che anno fu, solo che non fu molto prima che se ne andasse...

Mi piaceva moltissimo vedere le sue foto da giovane, e sempre restavo incredula della nostra enorme somiglianza, che tutti risaltavano. A parte il suo naso un po' più amplio, era veramente incredibile! In più io ero la prima nipotina Macioti, quindi forse è una mia illusione, ma ero speciale, cosí come lei sempre è stata speciale per me.

Mi ricordo che i suoi figli le fecero il bagno nuovo, che aveva i capelli lungissimi che portava a chignon, e che si spazzolava in camera sua seduta davanti ad un enorme specchio, che fumava una sigaretta al giorno (a mio grande stupore, di questo mi resi conto dopo anni!).

E poi mille altre cose, la sua sorellina "piccola" (17 anni meno!), gridona e simpaticissima Mité (guai a chiamarla Maria Teresa!), recentemente andata a raggiungerla, che fumava come una turca e che mi invitava a Venezia, le uscite in bus in cui la gente maleducata non si alzava per farla sedere cosa che mi mandava in bestia, le passeggiate a vicolo del Cinque e nei dintorni a Trastevere, a comprare pane ed altre piccole cose, e dove la chiamavano Donna Bianca... insomma non si può racchiudere in poche righe il ricordo di 25 anni!

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